Sci, scarponi e attacchi Free
Le novità nel mondo sci, scarponi e attacchi Free
- Autore: Niccolò Zarattini
- Fotografo: Alberto StortiMichele GuarneriGiovanni Danieli
La fusione tra il mondo Free e quello Tour è sempre più evidente: il freeride di una volta è oggi una nicchia di mercato per pochi eletti, che cede gradualmente posto al freetouring, che a sua volta si mischia alla new generation di scialpinisti che il touring quotidiano lo interpretano con almeno 100 mm sotto il piede. L’obiettivo, in tutto questo, rimane sempre la performance in discesa.
Va bene, forse paragonare il freeride all’amore può essere sacrilego per alcuni, o perfino blasfemia, ma quanti di noi si troverebbero indecisi se obbligati a scegliere tra una romantica mattinata tra le lenzuola o una giornata di sci da sogno con mezzo metro di powder? A Capanna Presena, in Tonale, siamo stati accolti come di consueto da una cinquantina di centimetri di fresca, appena caduta. La location è sempre la stessa, ma due new entry nel team di testatori hanno portato aria di new school, shapando kicker e saltando senza paura cliff da FWT, scolpendo nuove linee in quella montagna che pareva non avesse più spazio per la creatività. I materiali sono stati messi a dura prova sui terreni più vari, dalla powder alla neve tritata e al duro, ad alta ma anche a bassa velocità, su diverse ampiezze di raggio, per potersi immedesimare in ogni tipologia di utente.
In Italia l’indole fortemente pragmatica ha spesso frenato le libere espressioni, non da meno nel campo sciistico, dove stiamo ancora pagando l’eredità di una cultura radicata nello sci alpino proveniente dal mondo delle competizioni. Pian pianino però ci si apre a nuovi orizzonti, ecco quindi spuntare sciatori più completi che abbracciano una filosofia di riding moderno dove la pista è rappresentata dalla montagna intera. Nelle altre categorie di solito gli obiettivi sono chiari e condivisi dalla maggior parte degli utenti, nel Free la verità assoluta non esiste, è vero tutto ma anche il contrario di tutto. Non sono frasi fatte, è la mera realtà, è sufficiente organizzare uno ski trip su catene montuose estere per rendersene conto. Lo sviluppo di nuovi materiali ha visto il mercato evolvere soavemente verso attrezzi sempre più leggeri e performanti. In questo segmento il progresso si è tradotto in nuove predisposizioni di utilizzo con l’obiettivo di gite più lunghe e tecnicamente più impegnative del passato. Solo i super atleti potevano permettersi certi progetti e alcune pareti sono rimaste off limit per lungo tempo, accessibili soltanto con l’ausilio di elicotteri. La nuova rivoluzione del freeride è nata proprio dalla possibilità che abbiamo oggi di raggiungere le cime più remote in totale autonomia, lo stile alpino può essere portato sulle montagne di tutto il globo. Oltre ai materiali più leggeri impiegati, si sta puntando molto su ingredienti riciclati o di derivazione organica.
Sul freeride, negli anni, è stato scritto tutto quello che si sarebbe potuto scrivere. Fior fior di freerider e sognatori si sono confrontati ed espressi sull’argomento, filosofeggiando ed elevando allo stato dell’arte la disciplina come fossero poeti che scrivono d’amore.
Freerider tipo
Descrivere lo stereotipo di freerider non è cosa facile, a partire dal prefisso free: se ci fosse un modello comune non sarebbe più tanto free. Ci sono gli stili e i propositi più disparati, ma ci possono essere anche molti tratti in comune, a partire da un parco sci che difficilmente scende sotto i 90 millimetri di larghezza, misura che il freerider tipo ritiene già essere dedicata esclusivamente a un utilizzo su duro e ripido. La priorità resta la prestazione in discesa. Il one ski quiver per l’utilizzo standard durante l’inverno è intorno ai 100 millimetri di larghezza. Il freerider è pronto a sacrificare tempo e sudore in salita per poi ottenere sensazioni gratificanti nel percorrere la propria linea in discesa. Generalmente non ama eccessive vibrazioni, ancor meno perdita di precisione della lamina dovuta a torsione o ancor peggio, collassi improvvisi del nose sotto alla powder per mancanza di portanza. Gli archi di curva sono più ampi che nel tour, ci vuole stabilità in affondamento ma anche agilità per i cambi di ritmo.
C’è chi proviene dal mondo dello sci alpino e degli impianti, trasponendo la tecnica appresa in pista sulle nevi variabili del fuori pista. Non solo neve soft, spesso i rider solcano le gobbe degli itinerari più frequentati o la neve ventata e riportata dal vento. Per loro c’è una gamma di sci da montare preferibilmente con attacchi step-in che assicurino il sostegno e la trasmissione laterale a cui sono abituati. Ci sono anche gli scialpinisti abituati ad aste più light, che vogliono un attrezzo solido per le giornate di powder, che non sia stancante e permetta un montaggio con attacchino tenace per ascese nel range dei mille metri di dislivello e oltre. Il freerider in genere non si spaventa per distanze che paiono impossibili da percorrere agli utilizzatori di materiali light, i quali sgranano gli occhi al vedere giungere in vetta certi sciatori con attrezzi fat. I quali a loro volta, però, sfrecciano in discesa col sorriso stampato in faccia. Rispetto a dieci anni fa ci sono parecchi etti in meno ai piedi di un rider, fattore che permette a tutti di spingersi più lontano. O di portare attrezzi performanti dove prima arrivavano soltanto gli skialper con setup da light touring.
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