La sicurezza viene prima di tutto

Muoversi in montagna aperta in inverno ha a che fare con la neve e inevitabilmente con i suoi pericoli e dunque con le valanghe. Conoscere l’ambiente e consultare attentamente i bollettini è fondamentale, così come essere attrezzati correttamente e sapere utilizzare le attrezzature.

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L’aspetto della sicurezza è quello che spaventa in partenza una fetta di nuovi adepti dello scialpinismo. L’idea di aggiungere altri device all’attrezzatura appena acquistata, soprattutto di imparare a usare strumenti come l’ARTVA, frequentando un corso, ha relegato una grossa fetta di sciatori nel mondo del fitness touring, almeno in un primo momento.

E, non nascondiamocelo, la scelta del set ARTVA-sonda-pala è in secondo piano rispetto a quella del set sci-scarpone-attacco. Però sulla sicurezza non si possono fare compromessi. Ed è per questo che, oltre all’acquisto degli strumenti più adatti (tra i quali ha sempre più importanza, anche tra i tradizionalisti della prima ora, lo zaino airbag) è fondamentale saperli usare correttamente e, soprattutto, esercitarsi e tenersi aggiornati. Perché la valanga non sa che sei esperto e perché nella malaugurata ipotesi di ritrovarsi in una situazione di emergenza entrano in gioco fattori emotivi e di comunicazione tra i membri del gruppo, che vanno gestiti al meglio. Se sonde e pale sono le stesse da alcuni anni, senza sostanziali novità, nel mondo degli ARTVA c’era stato uno scossone due stagioni fa, con l’arrivo di Diract Voice di Ortovox, il primo apparecchio con guida vocale. Tra gli addetti i rumour di un apparecchio Pieps a prova di interferenze (una delle problematiche più sentite in un mondo fatto di device che generano campi elttromagentici, dallo smartphone allo smartwatch e all’action cam) girano da qualche stagione, ma fino a oggi sono rimasti pettegolezzi. 

Dove c’è più dinamismo è nel segmento degli zaini airbag che vengono considerati sempre più (e soprattutto in alcune condizioni) accessori importanti non solo dal freerider, ma anche dallo scialpinista, complice l’introduzione di diversi modelli leggeri come il nuovo Patrol UL E2 25 di Scott o l’Avabag Litric Zero 27 di Ortovox, sotto i due chili, o addirittura Airbag Tour 28 UL di Arva da un chilo e sei etti. Però la vera battaglia è tra sistemi, con il tradizionale airbag a cartuccia sempre più insediato da quello elettrico. Ormai quasi tutti i marchi propongono un modello elettrico, con la novità ABS, che dell’airbag è l’inventore. Solo Arva e Mammut rimangono fedeli al sistema a cartuccia. Da segnalare anche la battaglia dei prezzi, con l’arrivo sul mercato di Decathlon con un prodotto che utilizza il sistema a cartuccia Alpride (non testato). Una prova in più dell’interesse per gli zaini airbag.

Sistemi airbag: la guerra dei mondi

Alla base dell’acquisto di uno zaino airbag c’è prima di tutto una scelta di campo tra i modelli più tradizionali: quelli con cartuccia o quelli di nuova generazione, elettrici a ventola.

Nel sistema tradizionale, tirando la maniglia sullo spallaccio, si apre una bomboletta di aria compressa o di gas come il nitrogeno che gonfia il pallone. Nel caso di ABS il meccanismo è un po’ più complesso perché una carica pirotecnica aziona un meccanismo che fora la cartuccia. Negli airbag elettrici una ventola gonfia il pallone. L’alimentazione della ventola avviene con due sistemi, una potente batteria agli ioni di litio oppure un supercondensatore, alimentato a sua volta da batterie al litio o normali pile, in grado di immagazzinare la quantità di energia sufficiente a fare gonfiare il pallone in pochi secondi. In entrambi i casi, comunque, la ricarica in ambiente domestico avviene tramite presa e cavo USB. I primi sistemi elettrici (Jetforce di Black Diamond e Pieps) utilizzano una batteria agli ioni di litio piuttosto potente (quella di Voltair è da 82,2 Wh, quella di Jetforce varia da 43,2 a 57,6 Wh) per garantire diverse aperture, anche con temperature rigide.

I sistemi con supercondensatore, arrivati in seguito, garantiscono aperture multiple anche quando fa freddo perché non sono sensibili alle temperature, e con batterie più piccole che servono a ricaricarli. Sono due: Alpride, che non utilizza batterie agli ioni di litio ma due pile AA (che permettono anche di ricaricare il sistema senza corrente elettrica e compensano le piccole perdite di carica nel tempo) e Litric di Ortovox e Arc’teryx (foto sotto), che utilizza una batteria agli ioni di litio da 7,4 Wh. Alpride è commercializzato con diversi marchi. Quale sistema scegliere? Ci sono diversi fattori da prendere in considerazione, ma sicuramente il trend è elettrico. Dalla parte del nuovo sistema la possibilità di aperture multiple (per allenarsi, in caso di seconda valanga, per aperture preventive nel caso di passaggi pericolosi) e la facilità di trasporto in aereo. Le norme variano dall’Europa agli Stati Uniti, ma in generale le uniche limitazioni per i modelli elettrici riguardano le batterie agli ioni di litio fino a 100 Wh, che negli States devono essere portate in cabina e non posso essere messe in stiva (il regolamento internazionale IATA non prevede invece restrizioni). I sistemi a cartuccia negli States possono essere trasportati solo con cartucce vuote e sprovvisti di carica esplosiva, mentre per la IATA non ci sono restrizioni particolari, ma si tratta comunque di bagaglio sottoposto all’approvazione della compagnia aerea, a differenza delle batterie agli ioni di litio. 

C’è anche la questione della ricarica o sostituzione delle cartucce, abbastanza semplice con aria compressa (ci sono diversi rivenditori e anche i negozi per sub possono occuparsene), un po’ più complicata con gli altri gas. Le cartucce di Alpride sono usa e getta, quelle dell’Avabag di Ortovox vengono rigenerate in negozio o in azienda. Arva, che non realizza airbag elettrici, punta da sempre sulla potenza iniziale di gonfiaggio, prima ancora del tempo totale, perché in un primo momento è necessaria la massima leva per contrastare la forza della valanga. Secondo i dati di uno studio realizzato internamente, il sistema Reactor del costruttore francese sviluppa 500 mbar di potenza nei primi 0,33 secondi e comunque valori superiori a 300 mbar nei primi 0,66 secondi, mentre i competitor partono da valori inferiori a 300 mbar. Negli airbag a cartuccia la curva è discendente, mentre uno dei due zaini elettrici confrontati ha un andamento simile ma più costante, con valori di 200 mbar e un altro è costante e inferiore ai 100 mbar. Gli airbag venduti in Europa devono essere omologati rispettando la norma EN 16716 che regola diversi aspetti, dal tempo di gonfiaggio a quello durante il quale il pallone deve rimanere aperto, fino all’intervallo di forza necessario per fare scattare il meccanismo tirando la maniglia.

ARTVA: meglio semplice

Trattandosi di apparecchi che fanno ricorso alla tecnologia, sono cambiati non poco negli anni. I primi ARTVA erano analogici e il segnale radio veniva trasformato in un suono acustico.  I nuovi apparecchi invece sono digitali. Anche il segnale acustico ormai non è più analogico, ma è a sua volta un segnale digitale.

Il mercato offre un’ampia scelta, però il nostro consiglio è di optare per prodotti di fascia intermedia che hanno tutte le funzioni necessarie per l’utente principiante e di livello e spesso anche per il professionista. Ormai sono tutti a tre antenne, che garantiscono più precisione nella localizzazione indipendentemente dall’orientamento dell’apparecchio del travolto. Ci sono funzioni che, a nostro avviso, non possono mancare. Prima di tutto la funzione di marcatura in caso di seppellimento multiplo, poi il test di gruppo, un tasto del sistema di commutazione search to send facile da usare con i guanti (e anche la commutazione automatica), la possibilità di aggiornare il software, uno schermo visibile anche con gli occhiali polarizzati, un’imbracatura adeguata per poter indossare l’apparecchio e un cordino di vincolo di lunghezza adeguata per allontanarlo agevolmente dal nostro corpo (sia per ridurre interferenze con ciò che abbiamo in tasca che per avere un buon raggio d’azione nella terza fase di ricerca: la definizione del punto).

Il sistema automatico di commutazione search to send è utile non solo per portare l’apparecchio in funzione send se è stato inavvertitamente posizionato su search, ma soprattutto se si viene travolti da una seconda valanga durante la ricerca. Altro tema importante è infatti quello delle interferenze con smartphone, GPS, action cam, cristalli liquidi degli schermi delle fotocamere, walkie-talkie, satellitari. Per un utilizzo corretto vanno tenuti lontano almeno 20/30 centimetri da tutte queste apparecchiature e durante la ricerca è buona regola salire a 50 centimetri. Se usate l’orologio tenete ARTVA e orologio nelle due mani opposte. Ultimo ma non per importanza, ricordatevi che possedere l’ultimo modello più costoso non serve a nulla, se le batterie sono scariche. Qualsiasi esperto del settore consiglia, per essere tranquilli, di utilizzare il dispositivo con almeno il 50% di carica. Ovviamente sono vietate le pile ricaricabili.

Sonda: solida e affidabile

Lasciamo agli agonisti sui tracciati monitorati i modelli ultraleggeri. Per le gite ci vogliono prodotti solidi e affidabili, al modico prezzo di qualche grammo in più. Anche in questo campo ha fatto la comparsa la tecnologia.

Cosa non deve mancare? Montaggio rapido (a frusta) con sistema automatico di blocco dell’assemblaggio sicuro e intuitivo; materiali resistenti anche alle basse temperature; cordino metallico o in kevlar (no nylon); connessione degli elementi facilitata da una protezione a cuneo di plastica (utile per proteggere il cavetto oltre all’innesto femmina); lunghezza minima di 2,40 m/2,60 m; scala metrica facilmente leggibile; punta conica dal diametro leggermente maggiore rispetto ai segmenti che favorisce la penetrazione e l’interpretazione di quello che la sonda sta toccando. C’è anche un modello Pieps, iProbe II BT 260, in grado di interagire con gli ARTVA. In pratica segnala un ritrovamento con indicatore acustico a intervalli e luce lampeggiante se l’ARTVA sepolto si trova dentro una sfera con raggio inferiore di 50 centimetri dalla punta della sonda. 

Oppure con un indicatore acustico e luminoso costante se l’ARTVA sepolto si trova dentro una sfera con raggio inferiore di 30 centimetri dalla punta della sonda, anche se la persona seppellita viene mancata o non si ha la sensibilità di capire se il morbido che stiamo toccando è una persona o il terreno, oppure se il duro che stiamo sentendo è lo scarpone o un sasso. Se l’ARTVA sepolto è Pieps, in quest’ultima situazione, quella in cui la punta della sonda entra in una sfera del raggio di 30 centimetri con lo stesso, la sonda intelligente è anche in grado di schermarlo in modo tale che non debba essere marcato, visto che la funzione marcatura rallenta e intasa il software di qualsiasi ARTVA.

Pala: meglio un po’ più pesante e grande

La prima raccomandazione è di stare alla larga dai modelli race. Il materiale più indicato è l’alluminio, in grado di garantire il giusto mix tra peso, affidabilità e durabilità. 

La benna, oltre che per le dimensioni, va scelta con attenzione alla forma che deve tagliare bene la neve e prevedendo magari la possibilità di aiutarsi con un piede. Il manico a T è quello più universale, ma rimane scomodo con guanti a moffola. Le funzioni di una buona pala sono ben più numerose di quelle che si potrebbero immaginare pensando al solo disseppellimento: può servire anche per analizzare la qualità della neve, creare una truna per ripararsi in caso d’emergenza o costruire un kicker. I componenti devono essere facilmente e rapidamente assemblabili anche con i guanti. Smontate la pala in negozio per vedere quanto spazio occupa nello zaino. 

Altri suggerimenti? La benna deve essere di buone dimensioni, con bordi laterali e lato frontale dentato e affilato per caricare importanti quantità di neve a debole coesione senza perderle o per tagliare e spostare blocchi di neve molto compatta di dimensione utile. Meglio la benna con nervature per irrobustire la struttura e il fermo metallico nel foro d’inserimento del manico nella benna per evitare che durante l’utilizzo a taglio dei blocchi la resistenza del manico vada a sovraccaricare e molto spesso a rompere lo spinotto che dovrebbe servire esclusivamente a evitare che il manico si possa staccare dalla benna. Il manico telescopico deve essere di lunghezza utile per agevolare uno scavo efficace, con sezione ovale, triangolare o rettangolare che irrigidisca la struttura in senso longitudinale. Sono più efficienti i modelli con impugnatura ergonomica.

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